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Ultracycling: Omar Di Felice si racconta


Omar Di Felice è un ciclista di 32 anni, originario di Roma, città nella quale vive. Nonostante la giovane età, Omar è uno che nella vita di chilometri ne ha macinati davvero tanti. La sua passione per la bici inizia a 14 anni, quando per la prima volta pedala con una bicicletta da strada…da lì non si fermerà più. Corre in tutte le categorie giovanili e, portando anche a termine l’università, arriva fino ai professionisti. Due anni con le maglie dell’Amore e Vita e il Team Nippo Endeka. Poi, alcuni successi nella categoria Elite e nelle Granfondo e la grande soddisfazione della convocazione con la nazionale algerina per il mondiale professionisti del 2006 a Salisburgo. Dopodiché, un paio di anni di pausa, utili a intraprendere la nuova carriera lavorativa (gestisce un’attività in proprio che si occupa di servizi grafici e web design) e quella agonistica, nel mondo dell’ultracycling (rientrano in questa categoria le prove massacranti a partire dai 300 km in su, quelle di durata come le 12-24-48h, fino alle corse che si sviluppano su tracciati di 1000 e più km).

Ottimi i successi già ottenuti in questi anni: nel 2011 4° al Tour du Mont Blanc, 330 km e 8000 metri di dislivello. Nel 2012 5° alla Race Across the Alps, 530 km e 16000 metri di dislivello; 7° al Tour di Svizzera, 1015 km no stop. Nel 2013 3° alla Race Across Italy, 630 km e 6000 metri di dislivello, 5° al Tour du Mont Blanc e 3° al Tour di Svizzera. Poi, incredibili imprese come la Lourdes-Santiago di Compostela, 1300 km in 4 tappe: il giro d’Islanda, 1389 km in 4 tappe; il giro d’Italia Chapter, 500 km no stop attraverso le Alpi.

Omar Di Felice, in esclusiva per Outdoor Passion, si racconta.

Omar, come si svolge la preparazione per affrontare le lunghissime distanze?

Superate le 8-10 ore il fisico entra in un’altra dimensione. Si inizia a parlare di Ultracycling oltre le 12 ore. Cambia tutto: l’approccio allo sforzo, la gestione delle energie, i segnali del proprio fisico. Non ci si inventa ultracycler. Bisogna senz’altro avere un’attitudine prima mentale e poi fisica allo sforzo di durata e allenarsi per gradi. Il primo step sono le 24 ore, con le notti in cui il nostro corpo cambia: il battito del cuore rallenta, il fisico inizia a dare i primi segnali di stanchezza e il sonno può affiorare in qualunque momento. Dopo una prima stagione, quella 2012, di adattamento generale (in cui ho comunque ottenuto dei risultati di prestigio), il 2013 è stato il mio vero primo anno ad alti livelli. Quando entri nella dimensione dell’ultracycling non c’è bisogno di esagerare tirando il fisico con allenamenti troppo massacranti. Solitamente durante la settimana mi alleno molto sulla qualità (fondamentale viste le medie stratosferiche con cui vengono vinte queste prove nonostante la loro lunghezza!) e il weekend lo dedico ad allenamenti più lunghi senza forzare troppo. Il resto è adattamento alla privazione del sonno, a pedalare con il buio o con la luce, con la pioggia o con il sole. Tutto ciò che è estremo ti tempra e ti aiuta nelle prove più dure.

Come cambia l’approccio alla performance fra una prova competitiva e un’impresa?

In gara hai l’adrenalina dovuta alla competizione. Attaccarsi il numero sulla schiena, per me, significa schierarmi ai nastri di partenza provando a dare il 110%, cercando di vincere. Le imprese, invece, da un lato servono come banco di prova e allenamento per le gare che verranno, dall’altro mi aiutano a spostare il limite fisico un po’ più in là. Queste, inoltre, mi permettono di realizzare dei documentari in posti suggestivi, per me che ho nella fotografia e nella ripresa e montaggio video, una delle mie competenze di lavoro. Mi piace molto coinvolgere il mio pubblico durante le imprese, creando veri e propri eventi social. In futuro questo aspetto verrà curato ancora di più.

L’Ultracycling è uno sport estremo, non hai mai paura?

Credo che la paura sia quel piccolo radar da tenere sempre ben attivo, che ci avvisa quando stiamo andando troppo oltre. Come dico sempre al mio team, prima di tutto dobbiamo divertirci e fare le cose in sicurezza. Distinguo sempre estremo da pericoloso. Tutto ciò che rientra nella seconda definizione non mi rappresenta e non fa per me. Ovvio che pedalare su strade aperte al traffico comporta dei rischi, ma sono i normali pericoli che si corrono, dovuti alle variabili che si possono presentare nella quotidianità. 

Qualunque amante e praticante del ciclismo può dedicarsi all’ultracycling?

Ognuno di noi ha una sua particolare vocazione e attitudine. L’ultracycling e, più in generale gli sport stremi, fanno parte di noi in maniera direttamente proporzionale a quanto ne sentiamo la spinta interiore. L’improvvisazione non porta mai a nulla di buono, bisogna essere costanti e progressivi nella pianificazione degli obiettivi, senza bruciare le tappe. Il ciclismo è già uno sport molto faticoso, l’ultracycling però, proietta l’individuo in una nuova dimensione. Sicuramente non è per tutti, ma chiunque può provare a pedalare oltre i 250-300 km e vedere che effetto fa. 

Quali saranno le tue prossime imprese?

Proprio in questo periodo invernale di stop atletico, sto pianificando il calendario gare 2014 e, soprattutto, le imprese e avventure che compirò. Ci sono diverse idee in mente e progetti molto estremi e ambiziosi ma per scoprirli bisognerà avere ancora un po’ di pazienza.

Marco Ceste